Il castello di Gusaliggio
I ruderi del maniero di Gusaliggio in Val Mozzola, (in alcuni antichi documenti riportato come Gusaleggio, Gusalicchio o Sisaligio), sono forse tra i più affascinanti del Parmense, eretti su di uno sperone roccioso vertiginoso, a picco sul sottostante torrente Mozzola. Lo strapiombo è impressionante e allo stesso tempo emozionante, per questo occorre molta attenzione se vi recate nel sito. Non vi è comunque alcuna indicazione per raggiungerlo, e dopo una prima visita molti anni fa, l'ultima volta che sono stato l'accesso era sbarrato ed il sentiero parzialmente franato.
L'otto maggio ricorre l'anniversario della morte di Uberto Pallavicino detto il Grande, sanguinario personaggio che qui trovò la morte assediato dai Parmigiani e dai Piacentini. In questa data, nelle ore notturne, la leggenda narra che ancora si possano sentire i lamenti e le urla di questo famigerato personaggio, anima inquieta in vita e, a quanto pare, anche dopo di essa.
La storia ci tramanda un ritratto caratteriale di Uberto il Grande che lo dipinge romanticamente molto affine allo spirito aspro e selvaggio di questo luogo, dove sorgeva l'ultima sua dimora, strenuamente difesa.
Scrive infatti Augusta Ghidiglia Quintavalle "... nella agitata sua vita Gusalicchio, il romito castello, austero e forte, sull'aspra cima di un monte in Val di Mozzola, ne rappresenta l'antefatto ed il tristissimo explicit. Desolate e solitarie, oggi, le mura dirute, nereggianti di spine nel silenzio e nell'abbandono della morte, ideale epigrafe sepolcrale ad Uberto che "guercio, vecchio ed invecchiato nel mal fare, morì in montagna, nell'amarezza dell'anima e nel dolore, senza confessione e senza penitenza....
Solo, abbandonato da tutti, ma non domo, ancora orgoglioso di sè, ancora pertinace, forse perchè, come il Farinata dantesco, egli è conscio di non aver mai commesso atti miserevoli; ma anche nei suoi errori, anche nei suoi peccati, anche nelle più gravi colpe ha avuto sempre una sua grandezza, simile a quella del castello che lo ospita oggi... e più tardi cadrà in rovina, ma che, ancora, dopo sette secoli, desta un brivido di terrore e di istintivo rispetto.
Triste la sua fine solitaria in questo castello romito, senza onori, senza fasto, privo, si può dire, di tutto; eppure non scevra di una suggestione di grandezza, per non aver ceduto, per non essersi inginocchiato, per aver coraggiosamente tenuto testa, fino all'ultimo, all'assedio materiale di parmigiani e piacentini, spirituale dei frati."
di Augusta Ghidiglia Quintavalle - I Castelli del Parmense, 1955
"Sovra un masso enorme di pietra arenaria (Oggi sappiamo che la roccia su cui sorgeva la rocca non è arenaria, bensì ofiolite di origine vulcanica (da eruzione sottomarina) che sporge sulla sponda sinistra del torrentello Mozzola, che da nome alla valle che scorre, e che sorgendo sulla cresta del monte Mariano, trascorsa la valle, sbocca nel torrente Taro a mezzo miglio da Pietramogolana; sorgeva nel 1250 una rocca, che vuolsi fabbricata dai Pallavicini, chiamata Gusaleggio, in prossimità di altra ugualmente forte denominata Landasio, soggette al dominio dell'inallora potente Oberto Pallavicino. Questa rocca poggiava superba ad occidente sul ciglione di esso masso all'altezza di ben 200 metri, e spirava per l'arditezza della sua posizione una specie di terrore in riguardarla dal basso della valle, ove pareva che ad ogni istante dovesse dal ripido pendio precipitare. Distinguevano singolarmente questa rocca quattro torrioni merlati e varie vedette, un mulino a vento e circa una ventina di edifici posti sui ripiani esteriori scavati nella roccia e naturalmente da questa difesi, tra i quali dalla parte del torrentello eravi una chiesuola sacrata alla Gran Madre di Dio. A guardia della rocca era in quel tempo un certo Federigo Malchiavello, uomo oltre ogni dire feroce, padre di cinque figli maschi all'intutto a lui somiglianti..."
... così scriveva nel 1841 Carlo Malaspina nel suo racconto storico "Richilda da Gusaleggio". dove si narra della vicenda amorosa di una giovane e bella contadina, già promessa in sposa, ma su cui posa gli occhi il nobile del maniero di Gusaliggio. Una sorta di "Promessi Sposi" in chiave medievale ambientata in Valmozzola insomma. L'autore di questa storia nasce a Parma nel 1808 da padre originario di Borgo Taro e madre di Vianino, di umile estrazione contadina si trasferiscono a lavorare in città come manovali. Il giovane Carlo viene assunto come "scopatore" in una scuola dove manifesta agli insegnanti il suo desiderio di frequentare gli studi. Lavorando e studiando, dimostra presto le sue doti, diventa amico di personaggi di spicco in città, come Paolo Toschi e Pietro Giordani, quest'ultimo gli concederà una sorta di borsa di studio, all'epoca chiamata "pensione", per poter integrare il magro stipendio e permettergli di proseguire gli studi. Nel corso della sua vita incontra personaggi del calibro di Silvio Pellico, frequenta l'università fino ad arrivare quasi alla cattedra, effettua viaggi anche all'estero, fonda nel 1839 una sua rivista (Il Facchino) ed ottiene da Maria Luigia il titolo di Custode della Biblioteca Ducale: come dire, l'impegno e la passione ripagano, una bella storia per un ragazzo di estrazione contadina nato da genitori analfabeti.
Sul bordo del precipizio si notano alcuni gradini intagliati nella viva roccia.
Qui si trova un terrazzo roccioso naturale che si affaccia su di un pauroso ed altissimo strapiombo che termina con rocce aguzze sul fondo del torrente. La storia ci tramanda il ricordo di una tremenda disgrazia, propio qui infatti, nel cortile dell'oratorio che sorgeva all'interno del castello, due donne, mentre stendevano e stiravano il bucato, per qualche ragione imprecisata, nello strattonarsi le lenzuola, forse scherzando e giocando tra di loro, persero l'equilibrio e precipitarono nel baratro !
Tra queste rovine misteriose e queste pareti vertiginose di nuda roccia che incutono timore ma trasmettono forza, vivono e scrutano gli intrusi solo un branco di capre rinselvatichite, dopo aver perso, ormai da molti anni, il loro anziano proprietario, almeno questa è la versione raccontataci da un signore del luogo incontrato lungo il cammino. Ci fu anche un periodo in cui nei boschi attorno al castello imperversava un branco di lupi, e l'angusto passaggio obbligato nel bosco per raggiungere il castello prese il nome tetro e poco invitante di valle scura.
... e dopo aver esplorato, fantasticato, e respirato la storia, verso sera ci si incammina sulla via del ritorno, tra profumi d'erba, giochi d'ombre e paesaggi che accarezzano l'anima.
L'articolo con altre foto e immagini storiche lo trovate nel blog >>>
Riferimenti bibliografici:
- I Castelli del Parmense di Augusta Ghidiglia Quintavalle - edizione fuori serie del 1955
- Richilda da Gusaleggio, ovvero Parma nel 1250 di Carlo Malaspina - ediz.Prograf
- Misteri di Parma di Stefano Panizza Vol. II