Il monte Prinzera
"Oggi sappiamo che non vi è nulla di soprannaturale, che ciò che in passato veniva così definito era soltanto qualcosa che ancora non si conosceva. Non sembra affatto irragionevole che mente e materia, sulle quali in fondo sappiamo ancora ben poco, possano esistere in forme che ci sono completamente ignote. Dopo tutto, esseri con corpi e personalità diverse dalle nostre potrebbero anche popolare il mondo invisibile che ci circonda.... forse davvero il Piccolo Popolo canta e danza di notte a Colby Glen. Evitiamo di dire che tutto ciò è impossibile."
QUANDO MATERIA E SPIRITO SI INCONTRANO NELL'UOMO
L'interazione tra geologia e psicologia
Il monte Prinzera è un magnifico balcone naturale su tutta la pianura parmense e non solo, dalle sue pendici lo sguardo spazia tranquillamente fino alle alpi e al monte Baldo, e nelle giornate di nebbia in pianura offre uno spettacolo assicurato che riempie gli occhi di bellezza ed il cuore di grandezza. Quando vengo qui, so di andare a colpo sicuro, sempre! Ricordo che da bambino, ammiravo da lontano il profilo azzurrognolo di questa montagna, e fantasticavo: un giorno andrò su quella montagna! I bambini di oggi hanno altri sogni, sempre che li abbiano ancora. Sinceramente, non vorrei mai tornare indietro nel tempo.
Il Prinzera è un'imponente rupe di roccia ofiolitica che si erge bruscamente sulle colline circostanti, ed in questa foto se ne apprezza molto bene la mole e la verticalità. Alla sua base transita la statale della Cisa e la vetta è raggiungibile in circa mezz'oretta di cammino. Nelle sere d'estate, anche in quelle più afose, lassù in prossimità della vetta spira sovente un vento fortissimo e molto freddo, e la vista sulla pianura tutta illuminata è impagabile, come lo sono i panorami sulle vallate circostanti quando il mare di nebbia trasforma le montagne in isole e penisole di fantasia. Nelle ore prossime al tramonto poi, le rocce assumono tonalità rosso infuocato che stridono con le tonalità fredde del circondario, ed il luogo diventa di minuto in minuto sempre più magico.
Le rocce ofiolitiche sono rocce di origine vulcanica, sono lave eruttate non da vulcani come li immaginiamo, gli inconfondibili coni con il pennacchio fumante, ma lave fuoriuscite da spaccature sottomarine e poi solidificate molto rapidamente a contatto con le acque profonde di antichi fondali marini. Gli affioramenti e le vette ofiolitiche che troviamo nel nostro appennino, non si sono originate qui dove oggi le troviamo, sono rocce alloctone, ovvero originatesi in luoghi lontani e poi letteralmente trasportate dove oggi le vediamo dai movimenti e dagli sconvolgimenti della crosta terrestre, avvenuti nel corso dei millenni. Praticamente il blocco sommitale del monte Prinzera è come un enorme scoglio galleggiante sopra un mare di rocce argillose sottostanti che lo hanno trasportato. E così per tutti gli affioramenti di questo tipo di rocce, gli agenti atmosferici hanno poi dato il tocco finale, cesellando al meglio e mettendo a nudo queste rocce, che essendo più dure ed ostinate, si stagliano ed emergono vistosamente dalle rocce circostanti che le inglobano, creando paesaggi molto particolari e suggestivi.
Sono rocce che trattengono e conservano il calore del sole, d'estate diventano caldissime e sono soggette a forti contrasti termici, ma nei periodi freddi cedono lentamente calore creando sulla loro superficie dei microclimi molto particolari; questo, unito alla chimica di queste rocce, molto acide e ricche di elementi come silicio, ferro, magnesio e magnetite, che sono veleni per molte specie vegetali, permettono di ospitare una vegetazione decisamente particolare, consentendo anche alla nostra latitudine la sopravvivenza di specie botaniche di origine africana.
Naturalmente queste sono considerazioni di massima, visto che il termine stesso "rocce ofiolitiche" comprende tutta una serie di magmi e tutta una serie di varianti originatesi per effetto dell'interazione di diversi fattori come elevate temperature, pression inimmaginabilii e contatto con rocce di altra natura, dando origine ad una gran varietà di materiali metamorfici.
Spuntoni e "denti" di rocce ofiolitiche si trovano poi sparsi tutt'attorno nei boschi e nei declivi circostanti, nel versante che si affaccia sulla Val Taro. Molto suggestivo è anche il vicino monte Zirone e gli affioramenti alla base poco prima di Citerna Taro.
Una nota di folklore racconta che in un periodo storico non ben precisato si era diffusa la voce di ritrovamenti di oro sulle pendici del Prinzera, e questo aveva scatenato una piccola corsa all'oro su questa montagna, ma presto tutto l'entusiasmo si spense e tutto cadde nell'oblio, e non si seppe più nulla sull'oro del Prinzera, ne se alcuno vi avesse trovato fortuna, questo secondo i resoconti del Capitano Boccia.
Il paesaggio è uno stato d'animo
Ognuno ha i suoi paesaggi preferiti, chi ama il mare, chi il lago, chi le cime rocciose, chi i boschi ed i prati in fiore, io li amo tutti, purché selvaggi ed autentici. Ci sono luoghi particolari in cui ciascuno di noi si stente particolarmente a proprio agio, sente come risuonare qualcosa dentro, come se avesse ritrovato qualcosa che aveva perduto, una pace che cercava, un significato, una visione.
Spesso il mio stato d'animo mi spinge a ricercare un determinato paesaggio, o una certa situazione: se sono triste o introspettivo e fuori c'è la nebbia, mi sento a mio agio, e vado a passeggiare volentieri tra i vapori ed i confini indistinti, mi ci ritrovo, sono in sintonia. Se invece c'è nebbia ed io mi sento più euforico, allora salgo su qualche montagna, con la speranza di "forare" la cappa e ritrovare il sole ottimistico, la luce ed i colori. Ma fino a che punto la mia malinconica introspezione sia un "mio" stato interiore piuttosto che un umore indotto dalla nebbia stessa, questo è molto aleatorio.
C'è quasi un dialogo tra le mie emozioni ed il paesaggio, e risulta molto incerta la differenza tra "il mio stato d'animo influenza il mio modo di vedere il paesaggio" e "il paesaggio influenza il mio stato d'animo", ogni luogo irradia energie e noi, che siamo antenne viventi, ci sintonizziamo con queste energie, e nel nostro profondo interagiamo con queste. Pertanto le due affermazioni sono entrambe vere, Il paesaggio quindi non è solo un oggetto materiale inerte e indifferente, tutt'altro, il paesaggio è un "soggetto" in grado di modificare i nostri stati emotivi, i nostri processi mentali ed anche le nostre stesse energie fisiche e la nostra salute. Di questo gli antichi ne erano ben consapevoli, molto più di noi che abbiamo perso la connessione con la Terra e, in definitiva, con noi stessi. Noi moderni ci preoccupiamo troppo per la connessione Wi-Fi, mentre dovremmo preoccupare per ben altre connessioni!
In tutte le culture di ogni parte del mondo, le grandi montagne sono sempre dimora di dèi o di spiriti, o sono esse stesse dèi o spiriti. Possiamo prendere tutto alla lettera, o possiamo pensare in modo empatico, metaforico, e pensare allora che quando saliamo su una grande montagna, siamo noi lo spirito della montagna, perchè ne veniamo assorbiti, posseduti, inondati dalla grande energia che sprigiona e ne diveniamo parte, diventiamo recettori della grande energia di questi luoghi, ci carichiamo, entriamo in intima comunione con lo spirito o il dio della montagna. Quando discendiamo, per quanto stanchi fisicamente possiamo essere, siamo sempre ricaricati, pieni di energia e di entusiasmo, rinnovati e purificati in un certo senso.
Ma capisco che non sia così per tutti, un'interessante osservazione di Walter Evans-Wenz nel suo studio sulla fede celtica nelle fate, avanza l'ipotesi che ciascuno di noi porti dentro di sé, ben celato nel subconscio, emozioni, pensieri e "ricordi" molto arcaici, ancestrali. Parafrasando, nella mente degli uomini deve essere già presente un concetto originario di sacralità, una spiritualità, una concezione di dio, degli dèi o degli spiriti, affinché l'ambiente possa influenzarlo e plasmarlo. Senza un oggetto su cui agire, l'ambiente non può fare nulla, questo è evidente.
Il paesaggio, in particolare certi luoghi, avrebbero quindi si la capacità di evocare questi sedimenti sepolti nell'animo e nella psiche umana, ma solamente a patto se ci siano già, ovviamente. Se non c'è nulla dentro di noi da disseppellire, niente di antico da ricordare, nulla di intimo da riscoprire, il paesaggio allora, per quanto bello e paradisiaco possa essere, rimarrà per noi una semplice cartolina, o una palestra a cielo aperto.
Siamo tutti apparentemente simili, anatomicamente, ma nella nostra interiorità siamo tutti assolutamente diversi, come esistono razze diverse a livello fisico e genetico, esistono razze diverse a livello di interiorità, a livello animico, e forse in modo ancor più evidente che non a livello fisico. Abbiamo tutti storie diverse, radici diverse, origini diverse, pertanto ognuno di noi vedrà e vivrà in modo diverso ogni paesaggio, e non esiste scienza geologica, chimica, ecologica o psicologica che sia, che possa definirlo e spiegarlo in maniera esaustiva per ciascuno di noi. Le nostre scienze sono tremendamente parziali e specialistiche, divisive. Il paesaggio è un'estensione di noi stessi, una nostra proiezione come sostengono alcuni esoteristi, e per dirla sempre con le parole di Evans-Wentz, "il soggetto più appropriato di studio per l'uomo, è l'uomo" !
Le rocce nel folklore celtico
I paesaggi delle rocce ofiolitiche hanno caratteristiche spesso assai strane, fiabesche, o meglio sembrano per alcuni versi paesaggi infernali, forse per la provenienza stessa delle rocce, dalle profondità del nostro pianeta, furono magmi incandescenti rossi come il fuoco, e di queste caratteristiche ne serbano una vivida sembianza, un incancellabile ricordo.
Anche quando guardiamo formazioni di materia così densa ed impenetrabile come la roccia, non dobbiamo dimenticarci che anche quell'oscurità è comunque pura energia condensata e che, seppur in una minima frazione, la coscienza che permea il cosmo vive anche in quella materia così apparentemente inerte. Una forma di energia, uno spirito, un essere senza corpo materiale, può penetrarla, attraversarla e fors'anche dimorare in essa. Non sottovalutiamo mai le infinite possibilità della Natura, e soprattutto non escludiamo a priori solo giudicando sul metro dei nostri assai limitati strumenti sensoriali.
Per riprendere le parole del citato ricercatore Walter Evans-Wenz, quando gli angeli caduti furono scacciati dal cielo, Dio ordinò loro: "Andrete a prendere dimora nei crepacci, nel sottosuolo, nelle colline, nel terreno, nelle rocce." E in base a tale comando sono stati condannati ad abitare in quei luoghi per un certo periodo di tempo, e quando sarà scaduto, prima della fine del mondo, saranno visti più numerosi che mai. Quelli che avevano abbandonato il Cielo... erano talmente numerosi che, vedendoli andar via, San Michele avvisò Cristo che il trono celeste si stava rapidamente svuotando, e quando Cristo vide quello che stava succedendo ordinò che le porte del Cielo venissero immediatamente chiuse, proclamando "Chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro". E le fate sono tanto numerose oggi come lo erano prima che il mondo avesse inizio. Stirpe sventurata! Persero il Paradiso andando dietro all'Angelo Superbo, quando il Padre ordinò di serrare le porte le fate, prese in mezzo, non ebbero altra scelta che infilarsi nelle cavità della terra.
Oggi noi sorridiamo di queste antiche credenze, sicuri e certi delle nostre sicurezze scientifiche che ci autorizzano a guardare con senso di superiorità le mentalità antiche, convinti come siamo che il tempo sia come una freccia rettilinea scagliata verso un inesorabile progresso, ma in natura il tempo non è lineare, il tempo è circolare, ciclico. Basterebbe ricordare che queste "credenze" sono nate in un'epoca dove le persone avevano grande rispetto per la natura e con essa, cone le sue manifestazioni e le sue forze vivevano in armonia, traendone energia, vitalità e serenità, oltre che sostentamento. In altre parole ne traevano significato, profondità e mistero, ovvero senso della vita e compiutezza di sé stessi. Tutti bisogni profondi che la nostra modernità non riesce a soddisfare. Noi viviamo prevalentemente di stordimento, di evasione di illusione.
Concludo questa divagazione con queste bellissime parole: ... se sorgevano delle liti tra noi bambini, come sempre è stato e sempre sarà, la mia cara madre ci faceva subito danzare. Lei stessa, o una delle altre donne del villaggio, intonavano a voce un motivetto. E noi danzavamo finché non eravamo sette volte stanchi. Ci fermavamo solo quando eravamo zuppi di sudore, piccoli monellacci tozzi e capelluti che eravamo! Ormai tutto questo non succede più! Non succede più da nessuna parte! La gente a quei tempi era piena di musica, di storie per danzare e di tradizioni. I preti hanno fatto scomparire tutto ciò.Venga loro un accidente! E che cosa ci hanno dato invece? Fede nei credi e dispute su chiese e denominazioni! Sono loro che hanno messo la croce intorno alla testa della gente e le briglie ai loro piedi.
Oggi nessuno di noi moderni ha mai visto nulla del genere, mai visto nulla di così bello !
Il corsivo è tratto dal volume FATE, UNA FEDE CELTICA di Walter Y. Evans-Wentz - Londra / New York 1911
Guarda l'album fotografico del monte Prinzera:

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