Lo stesso Grand Tour ottocentesco, che portava in Italia viaggiatori da ogni parte d'Europa, può essere visto come un urbex tour ante litteram: facoltosi viaggiatori erano attirati nel nostro paese non solo dalle bellezze artistiche e paesaggistiche, ma anche e soprattutto dalle vestigia di antichi manieri e ruderi di castelli, ardite fortezze abbarbicate su speroni di roccia, affacciate a picco su dirupi vertiginosi, e poi mura, archi e colonne semidistrutte, invase da una vegetazione selvaggia, ruderi abbandonati delle possenti e mitiche costruzioni dell'antica Roma. Tutto questo fascino lo ritroviamo in molti dipinti del periodo romantico e ottocentesco, e nella letteratura e iconografia gotica, e se non è urbex questo !

Esplorando i luoghi distrutti e abbandonati, dimenticati dal tempo e dagli uomini, si provano sensazioni che sono al tempo stesso sottili e potenti, si viene coinvolti fisicamente da questi luoghi, letteralmente avvolti da profumi umidi e polverosi, come di muschio, brividi freddi solleticano la nostra pelle, il buio stesso ed i contrasti di luce creano ambienti misteriosi, cupi, teatrali, che allo stesso tempo incutono timore e solleticano la curiosità. Ci si muove con sospetto, con passi a volte incerti, sospettosi del rumore delle nostre stesse scarpe, in un silenzio plumbeo, accompagnati solo dal rumore distinto di qualche gocciolio, o qualche pipistrello che, impaurito a sua volta, svolazza disordinatamente per fuggire dalla nostra intrusione.

E poi ci sono le implicazioni psicologiche ed emotive, spesso questi luoghi abbandonati sono luoghi chiusi al pubblico, spesso si entra in modo non proprio ortodosso, gli urbex scavalcano muri e cancelli, saltano dentro da finestre chiuse malamente, sgattaiolano sotto strette fenditure, ci si sente insomma un po' clandestini, in un territorio un po' borderline, c'è insomma un certo gusto del proibito. E poi ci sono le emozioni, tante, che si provano durante queste esplorazioni, ho provato ad interrogarmi sulle origini di questa attrazione fatale, e questi pensieri portano lontano, molto lontano.

Partiamo dal tempo, che è il protagonista principale, fare urbex significa essenzialmente fare un viaggio nel tempo e nella storia, non tanto nella storia ufficiale, quella scritta sui libri, ma nella storia e nel vissuto quotidiano delle persone comuni, che potremmo anche essere noi, io o te, potrebbe essere un viaggio in una nostra vita precedente, se ci credete. Questi luoghi, che la modernità ha scartato e messo nell'angolo per mille motivi, sono invece importanti, in quanto testimoniano di un passato, di ricordi, di vite, di tribolazioni, di valori, di anime e di vicissitudini. Alcuni di questi edifici poi hanno il dovere di testimoniare, di ricordare, di mettere davanti alla nostra coscienza le prove di quanta atrocità sia capace la nostra mente, pensiamo agli ex manicomi per esempio, luoghi di estrema sofferenza e tremendi soprusi, utilizzati fino all'altro giorno proprio qui, appena oltre la staccionata del nostro giardino, delle nostre civili abitazioni, delle nostre graziose e bonarie città.

In questi luoghi persone hanno vissuto, hanno lavorato, hanno pianto, hanno riso, pensato, amato e forse anche odiato, questi luoghi sono muti testimoni, sono luoghi della memoria e del ricordo, dove oggi possiamo raccoglierci in silenzio, fare una passeggiata nel tempo e meditare sul presente e sulle miserie umane. Per chi è più sensibile poi, c'è sempre la possibilità di avere esperienze particolari, come l'incontro o la percezione di qualche entità, questi luoghi sono notoriamente abitati o infestati da fantasmi, da anime tormentate, vite intrappolate negli interstizi delle diverse dimensioni: questi edifici sono terreni fertili dove fioriscono tutta una serie di storie, leggende ed altri strani accadimenti. Ci si muove tra labili confini, tra passato e futuro, tra realtà e fantasia, dimensioni parallele, forse solo suggestioni, forse no.

Se non ci limitiamo alla superfice, se riusciamo ad "ascoltare" il luogo, se guardiamo ogni graffio, ogni incrostatura, ogni crepa, come fossero un alfabeto di un messaggio in codice, se quando entriamo, lasciamo fuori il nostro io convenzionale, ed entriamo non solo in un altro luogo, ma anche in un altro io, o meglio in un io più leggero, spogliato dalla rigidità del presente, entriamo in una bolla spazio-temporale, potremmo all'inizio sentirci spaesati, ma è bello perdersi in questo labirinto di pensieri e di sensazioni: esploriamo e ci esploriamo.

Ogni respiro, ogni passo, ogni profumo, ogni cosa che vediamo o che tocchiamo, ci parla della relatività, della transitorietà, della precarietà della condizione umana, ci parla delle forze misteriose che governano il mondo, della vita e della morte: i luoghi abbandonati sono come un pugno nello stomaco in un certo senso, un colpo basso alla presunzione e all'orgoglio umani, qui tutto si svela per quello che è: polvere ! L'incorruttibile materia, la dura, pesante e resistente materia, così come tutto quello che i manufatti umani vogliono simboleggiare (potere, ricchezza, forza, giovinezza, fasto, bellezza) non reggono il peso del tempo, forse solo l'anima, l'invisibile ed impalpabile anima, forse quella e solo quella non si lascia ingabbiare dalle leggi del tempo, forse solo la nostra vera essenza è antistatica ! E' quantomeno curioso vedere come il tempo cambi le regole del vivere, cambi i luoghi, i modi, i pensieri, ma essenzialmente non cambi le persone, il nocciolo, gli animi, l'essenziale. In questi luoghi vuoti, morti, dimenticati, ritroviamo forse questo, l'essenziale: stanze vuote, vuote ma comunque colme, perché in realtà il Nulla non esiste !

Stanze vuote, stanze come luoghi dell'anima, come tanti contenitori di se, o dentro di se, si esce da una stanza e si entra in un'altra, come si esce da un pensiero e si entra in un altro, si vaga e si passeggia nella mente, nelle emozioni, stanze vuote, a volte ci colpisce un foglio di carta a terra, una vecchia fotografia stropicciata e dimenticata in un angolo, una scarpa, un vetro rotto, come riscoprire sentimenti ed emozioni rotte dentro di noi, sepolte per essere dimenticate, ma sempre li, macerie interiori, appuntite, taglienti, infette. Alcune stanze sono invece piene, piene di oggetti sparpagliati come dopo un'esplosione, piene di caos, disordine, si fruga tra vecchie ferraglie arrugginite, come frugare nel profondo di noi stessi, come scostare il velo per intravedere le cose accatastate nel nostro inconscio, non si distingue bene, solo frammenti apparentemente incoerenti, tutto un mondo simbolico da decifrare, ma probabilmente assai più importante di quella patina superficiale che chiamiamo Io.

A volte si avverte lo stesso fascino un po' tetro e lugubre di certi paesaggi post apocalittici cui ci ha abituati un certo genere cinematografico ed artistico, è come fare un salto a visitare un futuro che forse non è poi così tanto improbabile. Una domanda, una sensazione inquietante sorge poi sempre spontanea in questi luoghi: potrà capitare anche a noi ? Ai nostri luoghi ? Alla nostra casa, alla nostra città ? Come sarà il nostro futuro, e soprattutto, dove sarà ? Studiando la storia dei luoghi, si intuisce che a volte basta poco, un piccolo cambiamento in un settore del nostro quotidiano, un cambiamento economico, sociale, di costume, una nuova invenzione o una nuova strada, sono spesso sufficienti per innescare un processo che sposterà la vita altrove, portando a dimenticare alcuni luoghi, o meglio alla nascita di nuovi mondi abbandonati da esplorare, di nuovi luoghi dove le anime potranno ritrovarsi al di fuori della quotidianità.

Si palesa poi in questi luogo la lotta mitica tra uomo e natura, una falsa contrapposizione in realtà, ma è affascinante vedere come la natura, lentamente ma inesorabilmente, si riappropria degli spazi sottratti: rami, rovi ed alberi si affacciano alle finestre ed allungano i loro tentacoli verdi, e come innumerevoli braccia muovendosi sinuosamente alla cieca, cercano di abbracciare lo spazio che era già stato loro, e poi come non rimanere incantati davanti a quei teneri fili d'erba che, nonostante la loro delicata apparenza, tagliano l'asfalto come fosse burro, e quei fiorellini che con le loro minuscole radici, frantumano muri e mattoni, trovando nutrimento vitale là dove noi vediamo solo macerie e morte.

Questi luoghi poi spesso si trasformano in vere e proprie oasi urbane, zone franche, dove protetti da vecchie mura e fatiscenti cancellate, una moltitudine di anime inquiete trovano spazio per poter dare sfogo ad alcuni tratti della propria personalità che non avrebbero altrimenti modo di potersi esprimere, in particolare mi riferisco ai writers, ma non solo, che spesso lasciano testimonianze sociali e grafiche molto toccanti, struggenti, alcune le reputo vere opere d'arte, chissà forse un giorno saranno più apprezzate e valorizzate, come sempre sarà il tempo il giudice supremo di ogni cosa.

Non è difficile capire quindi il fascino che emanano questi luoghi, un fascino "romantico" e "gotico", dove ognuno di noi può trovare e ritrovare un po' di se stesso, e rovistare tra ricordi, nostalgie ed emozioni. Se poi avete anche un briciolo di fantasia, un semplice muro, un pezzo di vetro o un legno marcito, apriranno davanti ai vostri occhi mondi fantastici e senza tempo, dove il viaggiare è in ogni dimensione.

Fare urbex è un'esperienza, una forma di meditazione, introspezione, è vivere una testimonianza, rivivere una storia dimenticata.